La categoria degli stabilizzanti dell’umore è rappresentata da quei farmaci che mostrano la capacità di controllare, in tutto o in parte, le oscillazioni del tono dell’umore e per questa ragione sono indicati nel trattamento a lungo termine del disturbo bipolare (o bipolarismo). Inoltre al fine di essere considerati tali devono anche avere un’azione preventiva sulle ricadute maniacali o depressive dei disturbi dell’umore. Nella pratica clinica si sono poi rivelati utili anche in situazioni diverse dal disturbo bipolare trovando largo impiego nel trattamento di alcuni disturbi della personalità e di alcune forme ansiose di notevole gravità.

Gli stabilizzanti più comuni sono riportati in tabella.

Stabilizzanti dell’umore

Sali di litio (Carbolithium™)

Carbamazepina (Tegretol™)

Gabapentina (Neurontin™)

Lamotrigina (Lamictal™)

Oxacarbazepina (Oxcazen™, Tolep™, Trileptal™)

Topiramato (Topamax™)

Valproato di sodio (Depakin™)

Il litio è stato il primo trattamento modulatore dell’umore. Inizialmente utilizzato nel trattamento acuto degli episodi maniacali, ha mostrato efficacia anche nel ridurre il numero, la gravità e la durata delle varie fasi del disturbo bipolare, sia maniacali che depressive. Inoltre è efficace nelle condizioni che presentano un elevato rischio di suicidio. Spesso è usato in associazione con antidepressivi e/o neurolettici, nei casi in cui la sua efficacia non sia completa. Per esplicare il suo effetto è necessario che il sale di litio raggiunga una adeguata concentrazione nel sangue che in media è di 0.60 mEq/l. I livelli più bassi possono non essere efficaci, quelli più alti possono non essere necessariamente più utili mentre sicuramente sono associati con effetti collaterali e tossici. L’aggiustamento dei livelli di litio nel sangue si ottiene modificando la dose di farmaco assunta. La tossicità del litio, presente con livelli in genere più alti di 1.0 mEq/l si manifesta con nausea e vomito, diarrea, tremori grossolani, polidipsia e poliuria, cefalea, edemi alle parti declivi, disturbi dell’equilibrio. Per tale ragione, il paziente in trattamento con litio deve necessariamente osservare regolari controlli della litiemia. Inoltre è necessario controllare periodicamente, la funzionalità renale e tiroidea, sicuramente almeno una volta l’anno. Dopo ogni esame, lo specialista deve essere informato sugli esiti ottenuti, per valutare l’adeguatezza del trattamento in relazione alla fase del disturbo dell’umore, alla eventuale contemporanea somministrazione di altri farmaci (psichiatrici e non solo) e alle condizioni di salute del paziente.

Tra gli effetti collaterali si possono osservare disturbi gastrointestinali (come nausea, dolori addominali e diarrea), disturbi lievi di concentrazione e attenzione, tremori, aumentata assunzione di acqua e conseguente aumento della quantità di urina. Alcuni di questi disturbi possono essere ridotti con l’aggiustamento della dose quotidiana. Dopo un periodo prolungato di trattamento può insorgere aumento di peso.

Il valproato di sodio è un farmaco antiepilettico utilizzato sia nel trattamento degli episodi maniacali che nella prevenzione delle ricadute del disturbo bipolare. Come il litio, il trattamento va proseguito per lunghi periodi. Può essere utilmente impiegato nella terapia dei gravi stati ansiosi, associati o meno a disturbi dell’umore.

Anche nel caso del valproato sono indicati esami ematici prima dell’inizio della terapia e, a intervalli regolari, dosaggi plasmatici della concentrazione del farmaco. Tuttavia, per quel che riguarda tollerabilità e profilo degli effetti collaterali il valproato risulta più sicuro. Sono descritti effetti collaterali a carico dell’apparato digerente (nausea e vomito), talvolta sonnolenza e tremori. Alcuni pazienti presentano aumento di peso. Per quanto raramente, il valproato può alterare la funzionalità del fegato e del pancreas, che va controllata regolarmente. Anche la carbamazepina, l’oxcarbazepina e la lamotrigina sono farmaci comunemente usati come antiepilettici che hanno mostrato efficacia sul decorso del disturbo bipolare.

In particolare, la carbamazepina si è rivelata un farmaco efficace anche nel trattamento della mania in fase acuta e nella profilassi degli episodi maniacali del disturbo bipolare.

Generalmente ben tollerata, la carbamazepina può indurre sonnolenza, affaticamento, visione sdoppiata, capogiri, cefalea, reazioni cutanee. Si possono verificare alterazioni dell’emocromo, in particolare riduzione dei globuli bianchi, più spesso nel primo periodo di trattamento, per cui è necessario il controllo ematico di questi parametri, oltre a periodiche misurazioni del livello del farmaco nel sangue. La carbamazepina non provoca aumento di peso. Frequentemente interagisce con altri farmaci, per esempio i contraccettivi orali, riducendone l’efficacia.

La oxcarbazepina, ha una struttura chimica a quella della carbamazepina ma è dotata di una migliore tollerabilità e una minore neurotossicità. Gli effetti collaterali più comuni sono sonnolenza, vertigine, cefalea, reazioni cutanee e nervosismo.

La lamotrigina è indicata nella prevenzione degli episodi depressivi del disturbo bipolare. Molto raramente può provocare gravi reazioni cutanee, ma quando compaiono la terapia va sospesa, come al solito gradualmente. Per ridurre questa possibilità è necessario un periodo di tempo piuttosto lungo per raggiungere, con piccoli aumenti settimanali, una dose che sia efficace. Sono state segnalate vertigini e cefalea, sonnolenza e offuscamento della vista.

La gabapentina e il topiramato non presentano un’evidenza di efficacia come stabilizzanti dell’umore. Il primo farmaco viene molto usato come stabilizzante in sindromi ansiose, mentre il secondo come adiuvante nella diminuzione di peso.

Tra gli stabilizzanti dell’umore, la Memantina merita un discorso a parte.

La Memantina è un farmaco sintetizzato negli anni 60 e utilizzato in clinica fin dal 1982 in Germania (nel Parkinson, nelle sindromi spastiche di origine centrale o periferiche e nelle sindromi cerebrali organiche). Dal 2002 è usata in Europa, e dal 2004 negli USA e in tutto il mondo per la terapia del Morbo di Alzheimer.

Il suo beneficio clinico nella vita reale dei pazienti con demenza è considerato modesto. Tuttavia il suo largo impiego (dal 1982 a oggi) ha consentito di delinearne un profilo di eccellente tollerabilità e sicurezza (scarsi e di modesta entità gli effetti collaterali, minima e clinicamente insignificante la interazione con altri farmaci utilizzati nel trattamento delle demenze e dei disturbi dell’umore).

Nel 2009, il neurofarmacologo e Psichiatra Gino Serra ha suggerito e brevettato l’uso della memantina come antimaniacale e stabilizzante dell’umore. Con Athanasio Koukopoulos e le sue più giovani allieve (Lavinia De Chiara, Alexia Koukopoulos e Giulia Serra) ha cominciato a somministrare il farmaco ai pazienti con più grave Disturbo Bipolare, da molti anni resistenti a tutti i trattamenti convenzionali.

I primi risultati su 18 pazienti (malati da 21 anni e resistenti a tutti i trattamenti) con grave disturbo bipolare trattati per sei mesi sono stati pubblicati nel 2010. La memantina (10-30 mg/die) è stata aggiunta al trattamento (inefficace) in atto e la gravità della malattia valutata dopo 24 settimane. Dopo l’introduzione della memantina il 72.2% dei pazienti risultavano molto o moltissimo migliorati (CGI-BP). Dei 10 pazienti con il decorso “rapid cyclers” (il decorso del disturbo bipolare più resistente alle terapie) 6 erano completamente guariti.

Nel 2012 abbiamo pubblicato i risultati ottenuti su 40 pazienti (malati da 22 anni e resistenti alle terapie standard) trattati per un anno. Dopo sei mesi e un anno di terapia con l’aggiunta della memantina si osservò lo stesso risultato del primo studio: il 72.5% dei pazienti era molto o moltissimo migliorato. I pazienti migliorati a 6 mesi non avevano più avuto ricadute. Fra i pazienti “rapid cyclers” il 70% erano completamente guariti.

Nel Gennaio del 2015 è stato pubblicato un articolo che riporta i risultati della somministrazione di memantina per tre anni in 30 pazienti con gravissimo disturbo bipolare, anche essi da diversi anni resistenti a tutte le terapie attualmente disponibili. Questo studio (mirror image, cioè a specchio) ha paragonato diversi aspetti del disturbo bipolare dei tre anni precedenti l’introduzione della memantina con i tre anni sotto trattamento con memantina.

Il tempo di malattia (in mania/ipomania o depressione), il numero di episodi di malattia per anno, la durata degli episodi di malattia e la gravità della patologia nei tre anni precedenti la introduzione della memantina configurava un quadro di estrema gravità che si manteneva costante per tutti i tre anni esaminati. In altri termini, i pazienti avevano trascorso la quasi totalità di questi tre anni della loro vita gravemente malati.

Dopo la introduzione della memantina fin dal primo anno si osservò un netto miglioramento, che si accentuava significativamente nel secondo e ancor più nel terzo anno di trattamento (al terzo anno di trattamento il tempo di malattia si era ridotto ad appena il 10%).

Il tempo trascorso in malattia si ridusse del 75%, il numero di episodi per anno -55.7%, la durata degli episodi -58.6% e la gravità della sintomatologia -67.8%. I pazienti con decorso senza intervalli liberi (rapid o continuous cycling) erano quelli che rispondevano meglio all’aggiunta della memantina.

Di particolare rilevanza clinica è l’osservazione della riduzione (-79.2%) del tempo trascorso in depressione. La durata degli episodi depressivi è infatti generalmente quasi il doppio di quello degli episodi di mania/ipomania e i trattamenti attuali, solo raramente riescono a ridurre in maniera clinicamente rilevante il tempo di depressione.

Negli anni 2013-2014 è stata inoltre pubblicata una serie di casi clinici che riportano gli effetti antimaniacali e stabilizzanti della memantina usata come monoterapia.

Per confermare le osservazioni cliniche dei loro studi “naturalistici” Gino Serra e colleghi stanno ora per concludere, presso il Dipartimento NESMOS, La Sapienza di Roma e presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Sassari, uno studio clinico controllato (RCT). Tuttavia, i risultati dei loro studi “naturalistici” forniscono informazioni sufficienti per poter suggerire fin da ora (in attesa dei risultati del RCT) l’uso della memantina nei pazienti con disturbo bipolare, che non rispondono ai trattamenti attualmente in uso per la terapia e profilassi della malattia maniaco-depressiva.

Per quanto riguarda gli effetti collaterali e le interazioni tra farmaci, un’accurata review di Jones del 2010 dei dati sulla sicurezza e tollerabilità della memantina (dati derivati da metanalisi, European SPCs, pubblicazioni EMEA) conferma l’eccellente profilo di tollerabilità e sicurezza del farmaco, sia che venga usato in monoterapia sia in combinazione con altri farmaci, con un profilo di eventi avversi indistinguibile da quello del placebo.

Gli effetti collaterali sono generalmente di lieve o moderata entità, e sono rappresentati da vertigini, stitichezza, cefalea, ipertensione e sonnolenza. L’incidenza di effetti collaterali è leggermente inferiore a quella riscontrata con il placebo.

Le precauzioni e le controindicazioni sono poche. Si raccomanda cautela nella somministrazione a pazienti epilettici o con storia di convulsioni o presenza di fattori di rischio per convulsioni. Una supervisione cardiologica è opportuna nei pazienti con infarto del miocardio, scompenso cardiaco congestizio e ipertensione non controllata.

Non ci sono controindicazioni assolute all’uso della memantina, fatta eccezione ovviamente per i soggetti allergici al farmaco o agli eccipienti delle formulazioni farmaceutiche. Tuttavia, per la mancanza di esperienza clinica, se ne sconsiglia l’uso nei pazienti con grave insufficienza epatica.

Per quanto riguarda la interazione tra farmaci, la memantina non deve essere somministrata in associazione con altri bloccanti del recettore NMDA come amantadina, ketamina o destromorfano, perché potrebbero manifestarsi fenomeni psicotici. La memantina inoltre può aumentare gli effetti dei farmaci antiparkinsoniani come L-DOPA, dopamino-agonisti e anticolinergici. Al contrario, potrebbe ridurre gli effetti dei neurolettici e dei barbiturici. Il farmaco infine potrebbe influenzare l’effetto dei miorilassanti come baclofen e dantrolene.

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