La Psicoterapia psicodinamica

La psicoterapia psicodinamica o “ad orientamento psicoanalitico” rappresenta una delle forme di psicoterapia più conosciute e diffuse nei paesi occidentali.

Il suo modello teorico e le sue metodologie derivano dalla psicoanalisi con cui condivide: l’assunto che gran parte della vita mentale è inconscia e che le esperienze infantili precoci svolgono un ruolo fondamentale nel permeare e plasmare la vita psichica dell’adulto; la profonda attenzione all’inte­ra­zio­ne terapeuta-paziente; l’uso delle interpretazioni del transfert e delle resistenze per rendere consape­vo­li i pazienti dell’utilizzo di determinati meccanismi di difesa; l’esplorazione di quegli aspetti del Sé del paziente che, non ancora comple­ta­mente conosciuti, possono influenzare le sue relazioni attuali e/o favorire l’eventuale com­parsa di sintomi psicopatologici; la tensione verso il raggiungimento di livelli più profondi di insight e di comprensione delle dinamiche del proprio mondo interno da parte del paziente.

Gli obiettivi

Un concetto fondamentale che orienta la terapia psicodinamica è quello di mentalizzazione, cioè quella capacità che permette alla persona di concepire i propri stati mentali e quelli degli altri (bisogni, desideri, emozioni, credenze, sentimenti, obiettivi, intenzioni e motivazioni) come spiegazioni del proprio e dell’altrui comportamento.

Il suo sviluppo è strettamente connesso alle vicissitudini relazionali che hanno caratterizzato i primi anni di vita ed è volta a garantire la capacità di formulare ipotesi circa i pensieri e le emozioni presenti nella mente altrui, così da comprenderne il comportamento in termini di affetti e pensieri.

La mentalizzazione è indispensabile per l’auto-organizzazione e per la regolazione affettiva ed è anche necessaria per la comprensione delle proprie esperienze mentali, soprattutto se coinvolgono emozioni intense. Il contributo del terapeuta psicodinamico mira quindi a sviluppare e ad affinare la capacità di mentalizzare del paziente, al fine di migliorare la percezione e la comprensione di quanto avviene nella mente dell’altro e di rispondere di conseguenza.

Un secondo importante obiettivo della terapia psicodinamica è quello di aiutare il paziente a rior­ga­niz­zare le esperienze della sua vita, così da creare nuovi nessi e legami di conoscenza (Bion, 1962) tra avvenimenti fino a quel momento slegati e non connessi. In questo caso il terapeuta guiderà il paziente nell’esplorazione di quegli aspetti del Sé che non sono ancora pienamente conosciuti o compresi e lo aiuterà a descrivere e ad esprimere attraverso le parole i propri stati d’animo, i sentimenti, i vissuti e tutte quelle esperienze problematiche che il paziente non è stato capace di riconoscere, affrontare e interpretare da solo.

Un tale percorso consiste nel rendere manifesti bisogni e desideri spesso inconsci, nell’andare oltre le categorie del pensabile già conosciute, nel percorrere strade psichiche sconosciute e nel “rendere pensabile il conosciuto non pensato” (Bollas, 1989).

In ultimo, l’obiettivo della psicoterapia psicoanalitica non si riduce alla semplice remissione dei sintomi ma tende a favorire nel paziente la ricerca dell’autenticità e della verità riguardo a se stesso, a sviluppare la capacità di esprimere al meglio il proprio talento, a tollerare ed esperire una più ampia gamma di affetti, a raggiungere un maggiore appagamento nell’intimità relazionale e nella sessualità, a comprendere meglio se stesso e gli altri, ad affrontare i cambiamenti e le sfide della vita con una maggiore libertà interiore e una più efficace flessibilità.

Il setting

Nella psicologia clinica il setting rappresenta lo scenario dell’incontro terapeutico, il luogo all’in­ter­no del quale il processo terapeutico può prendere vita e dispiegarsi, insieme al sistema di regole che lo rendono possibile, lo definiscono e lo organizzano.

Esso è costituito dal set, dalle condizioni organizzative che regolano il “contratto terapeutico” e dalle regole rela­zio­na­li che mediano il rapporto tra il terapeuta e il paziente.

In particolare, il set rappresenta l’ambiente fisico e funzionale all’interno del quale si svolge il lavoro terapeutico. Le condizioni organizzative del “contratto terapeutico” riguardano la durata, i giorni e gli orari degli incontri, l’onorario del terapeuta e l’eventuale pagamento delle sedute saltate da parte del paziente e i tempi delle separazioni. Le regole relazionali che mediano il rapporto terapeuta-paziente sono volte invece a stabilire alcune coordinate del lavoro terapeutico quali l’as­senza di contatto fisico, l’assenza al di fuori della terapia di rapporti di tipo sociale, sentimentale o di affari.

Nella fase iniziale del percorso terapeutico il paziente può porre eventuali domande, chiarimenti o chiedere di poter modificare alcuni elementi dell’accordo.

Successivamente, dopo che questi elementi sono stati accettati dal paziente, l’assetto del setting va mantenuto stabile per tutta la durata della terapia. Ciò perché nella maggioranza dei casi l’attacco alla psicoterapia da parte del paziente si concretizza proprio in azioni rivolte verso il setting: ritardi, anticipi, sedute saltate, etc. La stabilità del setting garantisce al terapeuta di poter vedere, e di conseguenza interpretare, queste particolari forme di “resistenza”.

In questa prospettiva il setting può essere considerato come un contenitore mentale, un ambiente protetto all’interno del quale il disagio e i vissuti di dolore e di sofferenza del paziente possono trovare un possibile spazio di ascolto, condivisione, accoglienza ed, infine, di elaborazione.

Livelli di psicoterapia

La psicoterapia psicodinamica opera lungo un continuum che va dai trattamenti di tipo supportivo (psicoterapia di sostegno) ai trattamenti di tipo espressivo (psicoterapia psicoanalitica). Il ricorso a interventi più interpretativi o più supportivi dipende dai bisogni del paziente e dalle problematiche manifestate (Gabbard, 2010, 2015).

La strategia di intervento elettiva dell’approccio psicodinamico è l’interpretazione, uno strumento che permette al paziente, attraverso l’insight, di divenire consapevole di contenuti che si trovano al di fuori della sua conoscenza e di rendere conscio qualcosa che era stato confinato nell’inconscio.

L’interpretazione può anche essere rivolta al disvelamento delle resistenze e al riconoscimento degli specifici meccanismi difesa che il paziente può utilizzare per proteggersi da contenuti che possono minacciare la stabilità dell’Io.

A differenza di altre terapie nelle quali il terapeuta assume un ruolo più direttivo o segue uno schema predeterminato, nella psicoterapia psicodinamica il paziente viene incoraggiato a lasciare fluire liberamente i propri pensieri e a parlare di quanto gli viene in mente (regola delle libere associazioni).

È così che, dopo che si è instaurato con il terapeuta quel clima di accoglienza e di fiducia che permette un allentamento delle difese, egli può fare esperienza della possibilità di abbandonarsi e di dirigere la propria attenzione verso quelle aree della sua vita mentale all’interno delle quali albergano i desideri, le paure, le fantasie, i sogni più autentici e profondi.

Sempre secondo Gabbard, lungo il continuum che va dagli interventi più esplorativi a quelli più supportivi, altre importanti funzioni del terapeuta psicodinamico sono la chiarificazione (riassumere o riformulare le parole del paziente per trasmettere un aspetto coerente circa quanto viene comunicato al terapeuta), l’incoraggiamento all’elaborazione (richiesta di informazioni circa un argomento sollevato dal paziente e stimolazione a riportare senza censure e liberamente quanto passa per la mente), la validazione empatica (conferma al paziente che ha il diritto di provare certi sentimenti e ricerca di una sintonia empatica con il suo stato emotivo interno), la formulazione di consigli ed elogi (incoraggiamento ad intraprendere o mantenere una particolare linea d’azione e apprezzamento esplicito di specifici commenti e comportamenti del paziente) e la conferma (interventi semplici, brevi commenti o semplici interiezioni volti a incoraggiare il paziente nel proseguire nella direzione assunta).

Principali indicazioni terapeutiche

L’area d’interesse della psicoterapia psicodinamica è assai ampia e oltre a comprendere le proble­ma­tiche relazionali e familiari, il trattamento del disagio esistenziale e del disadattamento sociale, si occupa della psicopatologia nelle sue diverse forme.

In particolare essa risulta particolarmente efficace nel trattamento dei disturbi depressivi e bipolare, dei disturbi d’ansia e di panico, dei disturbi somatoformi, dei disturbi del comportamento alimentare (anoressia, bulimia, etc.), dell’abuso e della dipendenza da sostanze (alcool, droghe, etc.), dei disturbi di personalità, delle disfunzioni sessuali (eiaculazione precoce, anorgasmia, etc.), del disturbo ossessivo-compulsivo e di quello fobico, per giungere alla fenomenologia psicotica con alterazioni del senso della realtà.

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La Psicoterapia Gestaltica

La Terapia della Gestalt è un approccio olistico fenomenologico, inquadrabile all’interno delle psicoterapie umanistiche. Parte dal presupposto fondamentale che l’individuo, nel suo rapporto con l’ambiente, ha una tendenza innata verso la ricerca del significato dell’esperienza. Chiamiamo Gestalt il significato che soggettivamente diamo all’esperienza, sempre in relazione al contesto, in un gioco di interazione e influenzamento continuo e reciproco.

Il concetto di Gestalt è legato alla sua incessante dinamica figura-sfondo: ogni organismo, inserito nel suo ambiente, presenta in un dato momento un bisogno dominante che emerge in figura costringendo gli altri bisogni, almeno temporaneamente, a recedere nello sfondo. È il bisogno a organizzare il campo percettivo. Ad esempio, se ho sete questo bisogno mi farà individuare immediatamente una fontana anche in uno sfondo ricco di elementi, così come la vista di una fontana alimenterà la mia sete. L’individuo sano è capace di individuare i suoi bisogni dominanti e di agire in maniera creativa sull’ambiente in modo da soddisfarli ed è così libero di andare verso nuove esperienze. Quando, nel corso dello sviluppo, le frustrazioni sono troppo forti da essere fronteggiate o troppo scarse per cui non si sviluppa la capacità di incidere sull’ambiente, si perde la fiducia, nell’ambiente o in se stessi, e con essa anche la capacità di riconoscere e soddisfare propri bisogni. Una parte dell’energia rimane bloccata, nelle gestalt incompiute che riemergono continuamente, e la persona rimane fissata in modalità rigide, automatiche e disfunzionali che gli impediscono di vivere il presente e di entrare in contatto pienamente con se stesso e con gli altri.

La Terapia della Gestalt lavora, per aumentare la consapevolezza del paziente, dei suoi blocchi ed evitamenti nevrotici, per aumentare l’autosostegno e la responsabilità personale, in modo che possa sperimentare, nell’ambiente protetto della terapia, nuove modalità funzionamento più flessibili e funzionali.

Come nasce la Psicoterapia della Gestalt

Il padre della Terapia della Gestalt è Frederich Perls (1893-1970) psicoanalista tedesco ebreo, costretto a emigrare nel 1934 per le persecuzioni razziali, prima in Sud Africa (dove insieme alla moglie Laura fonda l’Istituto Sudafricano di Psicoanalisi), poi negli Stati Uniti. La nascita ufficiale risale al 1951, con la pubblicazione del libro di base e fondativo di questo nuovo approccio, Terapia della Gestalt, vitalità e accrescimento nella personalità umana, scritto da Perls, Hefferline e Goodman. Partendo da una revisione della teoria e del metodo psicoanalitico sviluppano un approccio terapeutico profondamente innovativo che in breve tempo si diffonde in tutto il mondo.

Gli influenzamenti di matrice europea più evidenti sono da rintracciarsi nelle correnti filosofiche della fenomenologia e dell’esistenzialismo (Husserl, Brentano, Heidegger, Buber…) nella psicoanalisi (Freud, Jung, Ferenczi, Groddeck, Rank, Reich, Horney), nello psicodramma di Moreno, nella psicologia della Gestalt (von Ehrenfels, Goldstein, la teoria di campo di Lewin), che si integrano con quelli di derivazione americana e alle filosofie orientali (taoismo, zen, tantrismo). In particolare:

–  dalla fenomenologia, riprende l’idea che ciò che appare ai nostri sensi, così com’è, sia più importante della nostra interpretazione del fenomeno. Il come precede il perché. In Gestalt l’attenzione è posta al vissuto immediato così come percepito o sentito corporeamente, al processo che si svolge nel qui e ora della seduta tra paziente e terapeuta. Non si utilizza l’interpretazione, dato che è sempre soggettiva la lettura della realtà, e comunque non è funzionale ai fini terapeutici;

– dall’esistenzialismo, la precedenza al vissuto concreto rispetto ai principi astratti, riconoscimento dell’unicità e dell’irripetibilità di ogni esistenza umana; l’importanza del concetto di responsabilità personale. Si restituisce dignità e valore al vissuto emozionale e corporeo, troppo spesso negati nella cultura occidentale. La Gestalt essendo una terapia olistica vede l’uomo nella sua totalità e considera mente e corpo come aspetti inscindibili, tende a connettere e integrare corpo, mente, pensieri, emozioni, immaginario, sensorialità in un insieme armonico;

– dalla psicoanalisi, è evidente l’influenza di C.G. Jung (rispetto al significato più ampio attribuito al concetto di libido, il concetto di polarità, il lavoro sull’immaginazione), A. Adler (per la ricerca di strumenti di autosostegno, responsabilizzazione e affermazione personale), S. Ferenczi (es. esercizi sul grounding e le esperienze riparatrici), K. Horney (l’importanza riconosciuta alle interazioni con l’ambiente, ai benefici secondari della malattia), e in particolare di W. Reich, che ha avuto grande peso nella formazione personale di Perls. Reich, si allontanò dalla psicoanalisi ortodossa e propose ”l’analisi del carattere” per sciogliere la corazza caratteriale o muscolare. Fu il primo a lavorare sul legame tra mente e corpo e a considerare le tensioni muscolari croniche come linguaggio congelato delle emozioni e delle esperienze della persona. Da qui l’attenzione per il corpo e per il suo linguaggio che la Gestalt fa propria e utilizza costantemente nella pratica clinica. Ogni emozione ha un suo correlato corporeo, anche se non ne siamo consapevoli, per cui ad es. ci accorgiamo di avere mal di stomaco ma non ci accorgiamo di essere preoccupati oppure ci accorgiamo di avere prurito ma non ci accorgiamo di essere arrabbiati.

Le divergenze rispetto alla psicoanalisi riguardano in sintesi:

– funzione e significato dell’introiezione, valore positivo che Perls attribuisce all’aggressività nella fase di sviluppo dentale (dagli otto mesi)  come forza autoaffermativa dell’Io;

– diversa concezione della nevrosi, per Freud è intrapsichica, dovuta a impulsi o desideri proibiti rimossi di natura libidica (conflitto Es-Super-Io), mentre per la Gestalt è una conseguenza del sommarsi di gestalt incompiute ossia di bisogni interrotti o insoddisfatti che nascono da un conflitto fra l’organismo e il suo ambiente (madre, padre, altri significativi);

– sostituzione del concetto psicoanalitico di insight come evento cognitivo chiarificatore tra contenuti inconsci e la sfera cosciente a favore del graduale sviluppo della consapevolezza come premessa per la capacità di autoregolazione dell’organismo;

– valorizzazione della relazione intersoggettiva fra paziente e terapeuta, vista come reale e non solo in chiave transferale;
– privilegio della dimensione del presente rispetto al passato nel lavoro terapeutico.

Metodo di lavoro gestaltico

Il primo passo è la costruzione dell’alleanza terapeutica: è fondamentale che il paziente senta di potersi fidare del terapeuta, si senta riconosciuto e accettato per come è, senza giudizi o pregiudizi, prima di potersi permettere di sperimentare dei cambiamenti. Lo strumento di cura è la relazione che si instaura tra terapeuta e paziente, unica e irripetibile. È un approccio basato su un coinvolgimento autentico da parte del terapeuta, che si mette sempre in gioco col suo sentire corporeo e il suo vissuto, sintonizzandosi con quello del paziente e creando un clima d’intimità e fiducia essenziali per procedere nel percorso terapeutico.

Il terapeuta gestaltico accompagna il paziente nel suo viaggio alla scoperta di sé e del suo potere personale, facilitandolo nella ricerca attiva delle proprie soluzioni attraverso tre strumenti fondamentali: la consapevolezza, il contatto e l’esperimento gestaltico.

La consapevolezza è la capacità di essere aggiornati suoi propri bisogni, mobilita e sblocca l’energia necessaria per agire sull’ambiente e soddisfarli. In terapia si lavora attraverso la focalizzazione su sensazioni, emozioni, sentimenti, valori personali, aspettative con lo scopo di riscoprire e integrare le varie parti di sé separate o rimosse. Risulta cruciale perché il pazienti sviluppi un modo nuovo di comportarsi e di percepire se stesso e gli altri.

Il contatto in Gestalt è un concetto chiave, rappresenta l’elemento fondamentale del rapporto tra l’individuo e il suo ambiente. È l’essere in relazione con l’ambiente, inteso come qualcosa che in un dato momento è altro da te. Implica la capacità di conciliare la propria autonomia e individualità con la necessità di prendere dall’ambiente ciò di cui abbiamo bisogno per vivere, crescere e adattarci. In terapia il buon contatto tra terapeuta e paziente è fonte di crescita e cambiamento per entrambi.

L’esperimento è un momento creativo della terapia in cui si contrasta l’attitudine a “parlare sulle cose” proponendo delle tecniche in cui il paziente è stimolato ad agire direttamente e a riprodurre nella sicurezza della stanza di terapia la situazione problematica. Il terapeuta gestaltico ha a disposizione diverse tecniche, che può utilizzare, nel momento opportuno, a seconda del bisogno emergente nel qui e ora della seduta solo quando c’è una buona alleanza terapeutica. Non sono compiti imposti che implicano un risultato prestabilito, ma proposte di sperimentazione, in cui non è prevedibile nè importante dove si arriverà, ma quello che succede tra paziente e terapeuta durante il “tragitto”. Alcune tecniche lavorano sulla consapevolezza sensoriale e corporea (la focalizzazione, ripetizione, amplificazione, sperimentazione delle variazioni di postura, ritmo e tono, concentrazione o amplificazione del modo di respirare, sedersi, muoversi, vestirsi, interrompersi, microgesti, ecc.) altre utilizzano il lavoro sul livello immaginativo (uso di fantasie e metafore, lavoro non interpretativo sui sogni), altre ancora lavorano sul livello emotivo (drammatizzazione ossia la messa in scena di alcuni aspetti della propria esistenza attuale, di situazioni irrisolte, di una caratteristica personale, di una parte di sé non riconosciuta, dialogo fra le polarità, espressione diretta, amplificazione dei sintomi, ecc.) consentendo al paziente di sperimentare delle esperienze emotive correttive che lo aiutano a risolvere i suoi blocchi e ad aggiornare la percezione e l’immagine di sé. Un esempio: un paziente “proiettivo” che racconta di come le persone che incontra sono tutte cattive e invidiose, se portato a interpretare, come fosse un attore, una delle caratteristiche negative attribuite agli altri, potrebbe scoprire, agendo quel ruolo, che queste gli appartengono e, riconoscendole come parte di sé, potrebbe imparare ad integrarle ed accettarle, ristabilendo un miglior contatto con gli altri. In psicoterapia della Gestalt, attraverso la sperimentazione attiva ai vari livelli dell’esperienza (cognitivo, emotivo, immaginativo, sensoriale, corporeo) si scoprono nuove possibilità di interazione e di contatto con sé stessi e con l’altro, sviluppando tutte le risorse che abbiamo a disposizione, ma di cui spesso siamo poco consapevoli.

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La psicoterapia cognitivo comportamentale

Origini e caratteristiche distintive

La psicoterapia cognitiva ha avuto grande impulso negli Stati Uniti intorno alla fine degli anni ’60, con la diffusione dei lavori scientifici di Aaron Beck e Albert Ellis. Almeno in parte, il lavoro dei due Autori rappresenta una reazione alla crisi della teoria clinica psicoanalitica, così come venne vissuta da molti giovani analisti americani della loro generazione.

La psicoterapia cognitiva postula una complessa relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti: i pensieri (o cognizioni) relativi a uno specifico evento, suscitano determinate emozioni che, al contempo, influenzano la reazione della persona all’evento.

Le cognizioni esprimono una modalità costante di attribuzione di significato agli eventi caratteristica della persona che li produce. La persona ha, in altre parole, l’impressione di cogliere, attraverso di esse, il mondo così com’è, senza la consapevolezza che si tratta di valutazioni e inferenze soggettive discutibili e opinabili.

Il carattere assolutamente soggettivo delle cognizioni spiega perché un medesimo evento, in base al significato che gli viene attribuito, può provocare in persone diverse, o nella stessa persona in momenti diversi, due reazioni completamente opposte.

Alcune volte queste cognizioni possono essere disfunzionali al benessere generale della persona. Questo avviene quando presentano un carattere distorto della realtà delle cose, ovvero quando si configurano come convinzioni negative su di sé, sugli altri o sul mondo, generando invariabilmente emozioni dolorose. Quando cognizioni disfunzionali ed emozioni dolorose si attivano più frequentemente e in modo rigido indipendentemente dai contesti, la persona può faticare a metterli da parte in favore di modi di pensare e sentire alternativi, che riducano il dolore e facilitino la soluzione dei problemi. Si sviluppano allora veri e propri circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo.

Il modello cognitivo, quindi, considera i disturbi emotivi come il prodotto di circoli viziosi che mantengono i sintomi nel tempo. E’ plausibile che senza tali meccanismi di mantenimento, la persona identificherebbe spontaneamente la soluzione dei suoi problemi psicologici avvalendosi delle abilità di soluzione dei problemi (problem-solving) insita nell’essere umano.

Terapeuta e paziente collaborano attivamente per portare alla luce della consapevolezza le cognizioni tipiche fonte di sofferenza, e dall’altro per rintracciare le cause e i fattori di mantenimento di tale sofferenza. Il cambiamento parte da una presa di distanza critica da tali cognizioni e dallo sviluppo di nuove strategie volte a tenere fuori dalla mente i pensieri disfunzionali, trovando punti di vista diversi sul mondo. Nel contempo, la persona concorda col terapeuta e sperimenta azioni nella vita quotidiana che non siano dettate da pensieri ed emozioni problematiche.

La psicoterapia cognitiva è un orientamento in continua espansione e differenziazione. Già nel 1991 Mahoney metteva in evidenza come si potessero distinguere al suo interno una ventina di approcci, tutti accomunati dall’enfasi posta sulle strutture di significato e sui processi di elaborazione dell’informazione. Tra questi ricordiamo il costruttivismo di George Kelly e il cognitivismo post-razionalista di Vittorio Guidano.

Presupposto fondamentale dell’approccio costruttivista attuale è che la persona – durante il suo sviluppo– costruisca un modello integrato e coerente di conoscenza e di significato su di sè, sugli altri e sul mondo a partire dalle proprie esperienze, che gli consente sia di riconoscersi nel tempo che di mantenere il benessere psicologico. Il sintomo è letto come uno squilibrio nel processo di attribuzione e organizzazione di significato.

La psicoterapia è intesa come un’occasione per la persona di esplorazione e comprensione di sé, dove non esistono saperi assoluti ed esterni ad essa, validi per distinguere cosa sia più o meno funzionale al suo benessere. Questo tipo di conoscenza, invece, può emergere durante il dialogo terapeutico ed essere ri-costruita esplicitamente insieme al paziente, proprio a partire dall’esperienza immediata – fatta di emozioni, pensieri, comportamenti e vissuti corporei. La relazione terapeutica si configura come un rapporto di collaborazione alla pari, fra persone portatrici di saperi diversi ma ugualmente fondamentali nella realizzazione del percorso di cura. La persona è vista come il miglior esperto di sé, con le proprie esperienze e significati, mentre il terapeuta è colui che mette a disposizione il metodo – che gli deriva dall’esperienza professionale – perché il paziente possa osservarli diversamente; esserne più consapevole e costruttivamente critico; comprenderli e riconoscerli a un livello più esplicito; gestirli non solo attraverso il sintomo, ma incuriosendosi verso esperienze vecchie e nuove o cambiamenti di strategie.

È invece proprio al Centro Bini che si è sviluppata l’attività clinica, di ricerca e didattica di Vittorio Guidano: fin dalle primissime pratiche di stampo comportamentista, tutti i successivi sviluppi più strettamente cognitivisti hanno avuto luogo in questa sede, così come la costituzione dell’iniziale gruppo di collaboratori che ancora oggi porta avanti la sua ricerca.

La sua attività di ricerca si è concentrata verso l’elaborazione di un modello evolutivo e processuale della psicopatologia e sulla definizione delle corrispondenti strategie di intervento psicoterapeutico. Così è arrivato a definire le relazioni complesse tra emozione, pensiero e identità, nel corso della vita individuale in termini di “organizzazione di significato personale” unitarie e instabili nel tempo, per la continua trasformazione dovuta all’incessante assimilazione dell’esperienza che si verifica nel corso della vita.

Lo scompenso clinico, nevrotico o psicotico, vengono “riletti” come riorganizzazioni critiche, problematiche, che il significato personale può aver incontrato nelle varie fasi del ciclo di vita individuale. Seguendo questo ragionamento l’intervento psicoterapeutico è incentrato sulla possibilità di fornire alla persona un nuovo accesso alla propria esperienza e ai propri sintomi, a partire dalla ricostruzione del loro contesto di sviluppo. Alla rilettura della propria esperienza attraverso la chiave di una diversa comprensione segue l’esplorazione, insieme al terapeuta, di nuove possibilità di essere e nuove modalità personali di attuare scelte future più soddisfacenti.
Tra gli orientamenti di più recente formulazione ricordiamo le terapie di terza generazione: la Terapia Dialettico Comportamentale, la Mindfulness, la Acceptance and Commitment Therapy o la Terapia Centrata sugli Schemi.

Nel loro insieme queste terapie forniscono un ampio ventaglio di soluzioni ai clinici e aprono la strada alla possibilità di diminuire in modo significativo la sofferenza psicologica dell’individuo, permettendogli di realizzare un soddisfacente progetto esistenziale.

Metodo e tecniche di intervento

Nella terapia cognitivo, entrambi i protagonisti – terapeuta e cliente – sono attivamente impegnati nella conversazione.

Generalmente le prime sedute vengono dedicate all’assessment e alla costruzione della relazione/alleanza terapeutica. Durante la fase di assessment il terapeuta utilizza contemporaneamente una varietà di strumenti per farsi un quadro completo del funzionamento generale della persona. Quindi delinea un progetto terapeutico, caratterizzato da obiettivi concreti, che spiega e illustra con parole semplici alla persona; indica le finalità della terapia, le ragioni per cui dovrebbe funzionare e la sofferenza emotiva che sollecita. Un accordo ragionevole e condivisibile sui compiti reciproci e sugli obiettivi a breve/lungo termine (contratto terapeutico), insieme a un clima interpersonale positivo, rappresentano le fondamenta di una solida alleanza terapeutica.

Durante i colloqui, il terapeuta adotta un atteggiamento psicoeducativo, spiegando in modo molto chiaro i circoli viziosi e i meccanismi di automantenimento dei sintomi, e lavora per stimolare il cambiamento ricorrendo all’uso di tecniche che variano in base al tipo di problema presentato, agli obiettivi terapeutici e alla fase della terapia. Alcune di queste tecniche derivano dall’integrazione del modello cognitivo con l’orientamento comportamentista ed è per questo motivo che spesso si parla di terapia cognitivo-comportamentale.

Mentre nella terapia cognitiva l’intervento è focalizzato sulla correzione, sull’arricchimento e sull’integrazione dei pensieri disfunzionali con altri più oggettivi, nella terapia comportamentale il terapeuta guida la persona nell’acquisizione di nuove modalità di reazioni emotive e comportamentali – più funzionali al proprio benessere – in risposta alle situazioni che solitamente suscitano malessere. Quando sono combinate nella terapia cognitivo comportamentale, questi due modelli di trattamento diventano un strumento potente per risolvere il disagio psicologico.

Le tecniche più frequentemente utilizzate in terapia cognitivo comportamentale includono: il dialogo socratico; la scoperta guidata o la tecnica della freccia discendente; la tecnica dell’ABC o il monitoraggio dei pensieri automatici; il problem-solving; il decision making; il role playing; gli esperimenti comportamentali; l’esposizione graduale; tecniche di rilassamento; promemoria o coping cards; i compiti a casa (o homework) e molte altre ancora.

Al termine della terapia, quando la persona avrà ormai raggiunto il benessere psicologico desiderato, le sedute potranno essere diradate nel tempo fino alla conclusione. Potranno poi seguire delle sedute di controllo (follow-up) nel corso dei mesi successivi con una cadenza che varia a discrezione del terapeuta.

Caratteristiche descrittive della psicoterapia cognitivo comportamentale

La terapia cognitivo comportamentale presenta alcune caratteristiche fondamentali che in anni recenti l’hanno resa la cura di elezione per la cura di un esteso range di disturbi.

Fondata scientificamente. Studi scientifici controllati hanno dimostrato che la terapia cognitivo comportamentale è efficace nella cura di numerosi disturbi psicologici. Inoltre, è stato provato che ha un’efficacia maggiore o pari agli psicofarmaci nella cura di molti disturbi e che la percentuale di ricadute è minore rispetto al solo trattamento farmacologico. In alcuni disturbi (es. disturbo bipolare, psicosi), tuttavia, il trattamento farmacologico continua ad essere indispensabile.

Diretta allo scopo. Dopo le prime fasi di assessment e formulazione di una diagnosi, il terapeuta lavora insieme alla persona per stabilire gli obiettivi e gli interventi più appropriati alla risoluzione del problema. Il progresso terapeutico è costantemente monitorato dal terapeuta e discusso insieme alla persona. Il terapeuta non adotta infatti una posizione autoritaria, ma sollecita la persona a riflettere insieme sull’andamento del percorso di cura, in modo da correggere in corso d’opera gli interventi intrapresi e aumentare la possibilità che il cambiamento positivo sia raggiunto.

Centrata sul problema attuale. Lo scopo della terapia cognitivo-comportamentale è la risoluzione dei problemi attuali che affliggono la persona. L’attenzione è focalizzata su ciò che nel qui ed ora mantiene la sofferenza, pur considerando il passato come utile fonte di informazione circa l’origine e lo sviluppo dei sintomi nel tempo.

Attiva e collaborativa. Il terapeuta e la paziente collaborano costantemente ed attivamente per capire e risolvere il problema. Il terapeuta propone le strategie adeguate al padroneggiamento della sofferenza e la persona, a sua volta, lavora nello spazio tra una seduta e l’altra per mettere in pratica le strategie apprese durante gli incontri.

La terapia cognitivo comportamentale mira a far diventare il paziente terapeuta di se stesso. Il terapeuta mantiene un atteggiamento psicoeducativo, educando la persona sulla natura del suo disturbo, sul processo della terapia e sulle tecniche cognitive e comportamentali. In questo modo, la persona viene aiutata a prendere consapevolezza del proprio funzionamento mentale e motivata ad utilizzare le tecniche apprese in psicoterapia per padroneggiare la propria sofferenza. L’acquisizione delle abilità di gestione delle emozioni dolorose permette al soggetto di beneficiare del percorso di cura anche dopo la sua conclusione.

Ambiti di applicazione

L’impegno che nei decenni gli psicoterapeuti cognitivisti hanno impiegato nel verificare l’utilità di quello che facevano, ha portato a un enorme accumulo di prove di efficacia per questo trattamento.

Per quasi tutti i disturbi presi in considerazione (depressione, ansia, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi alimentari, disturbo post traumatico da stress, disfunzioni sessuali, disturbi dell’età evolutiva e più di recente, i disturbi di personalità e patologie più gravi) le varie forme di psicoterapia cognitivo comportamentale, si sono dimostrate chiaramente più efficaci, incoraggianti e stabili nei risultati valutati ai follow up.

I benefici della psicoterapia in generale e della psicoterapia cognitivo comportamentale in particolare, si mostrano in vari ambiti: riduzione della sofferenza percepita soggettivamente, miglioramento della vita socio-relazionale e del funzionamento lavorativo.

Clinica